La riflessione mariologica in Karl Rahner.doc

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Seminario Vescovile “Beato Giovanni XXIII”

Bergamo

Scuola di Teologia affiliata alla

Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale

 

 

 

 

 

 

 

LA RIFLESSIONE MARIOLOGICA IN KARL RAHNER

 

 

 

 

 

 

                                                                             Relatore: prof. Epis don Massimo     

                                                              Alunno: Minoia Welman

 

 

 

 

 

 

 

 

Anno accademico 2001-2002

 

INTRODUZIONE. CENNI AL DIBATTITO MARIOLOGICO POST-CONCILIARE

 

 

Il teologo Karl Rahner dedica un’attenzione particolare alla mariologia, che ritiene essere dipendente dalla cristologia e legata all’ecclesiologia. Egli crea una sorta di parallelismo tra Maria e la Chiesa che trova la sua giustificazione nella S. Scrittura e nella tradizione ed ha il suo fondamento nel fatto che Maria, la prima redenta, agisce in maniera decisiva con la sua fede ed appartiene alla Chiesa quale suo membro più eccelso. Per K. Rahner la mariologia costituisce il trait-d’union tra le due discipline sopra citate. Tale connessione è naturale anche per noi, perché di Maria si può sapere qualcosa solo a partire dal suo figlio Gesù che si dice, ancora oggi, nella Chiesa.

Come vedremo, nel “Principio fondamentale della teologia mariana”, verrà precisata la struttura intima della mariologia e le verrà assegnato il posto nella teologia mostrando come i dogmi mariani derivino o come sviluppi o come conseguenze.

La maternità divina della “redenta nel modo più perfetto” è quindi un evento personale, non puramente biologico che, mentre esprime il libero assenso di Maria alla grazia operante in lei, rientra ed opera nella storia della salvezza. La maternità di Maria ha quindi necessariamente anche una funzione soteriologica perché, quando ella accettò con fede e libertà di dare carne e sangue al Figlio di Dio, cominciò formalmente la redenzione. Se la redenzione soggettiva si attua accettando la grazia, dono libero di Dio, Maria risulta essere la redenta nel modo più perfetto e, godendo già in pieno con la sua assunzione i frutti della redenzione, può anche operare attivamente come mediatrice alla salvezza di tutti gli uomini. In questa visione universale, cristocentrica, la predestinazione di Maria appare un momento concreto di quella cristologica.

Per comprendere il contributo mariologico di Rahner non possiamo dimenticare il dibattito teologico-mariologico del Concilio Vaticano II. E’ nota la problematica a proposito dello schema sulla Beata Vergine Maria che si concluse con la presentazione, quasi all’unanimità, del capitolo VIII di Lumen Gentium, “De beata Maria Virgine Deipara in mysterio Christi et Ecclesia”, integrato nello schema “De Ecclesia”.

L’intento del Concilio non era quello di definire nuovi dogmi ma solo presentare al mondo la vera immagine della Chiesa, quindi conveniva delineare anche il posto che la Vergine ha nella Chiesa ed i rapporti che intercorrono tra le due. Il lavoro conciliare fu lungo e “acceso”, perché tra i Padri si manifestavano le due tendenze della mariologia contemporanea: “l’ecclesiotipica” che cercava di comprendere Maria partendo dalla Chiesa e la “cristotipica” che guardava piuttosto all’unione di Maria con Cristo.

Il Card. F. Koening, portavoce della tendenza ecclesiotipica, considerava Maria semplicemente come “figura” della Chiesa: “Maria è la figura della Chiesa, l’una e l’altra sono in rapporto a Cristo e frutto della redenzione”. Ne conseguiva che anche la devozione mariana derivava storicamente da quella alla Chiesa ed i “meriti” di Maria avrebbero un valore e un senso solo ecclesiologico.

Il Card. Santos, portavoce della tendenza cristotipica (che preferiva uno schema separato), insisteva sui “caratteri particolari ed eccezionali” della vocazione della Vergine. Esiste un legame stretto tra Maria e la Chiesa ma anche un rapporto intimo tra Maria e Cristo, per cui la mariologia non si può ridurre all’ecclesiologia anche se le due interagiscono.

Si prospettavano così al Concilio due tendenze legittime: da una parte l’esigenza di enunciare il ruolo di Maria, in modo che apparisse la sua solidalità con noi e la finalità ecclesiale dei suoi privilegi; dall’altra la giusta preoccupazione che non fossero intaccate l’eminenza di questo ruolo e la superiorità che Maria possiede di fronte al resto della comunità cristiana, per la sua unione singolare con Cristo.

Fu Paolo VI, con l’intento di unire le due linee teologiche, nel suo discorso di chiusura alla II Sessione, ad esprimere la speranza che il Concilio avrebbe dato alla questione dello schema sulla Madonna riconoscendole il posto più eccellente ed elevato che le spetta nella Chiesa e nello stesso tempo, il posto più vicino a noi per cui la si potrà onorare col nome di “Madre della Chiesa”. Veniva così tracciata la via media che, mentre soddisfaceva le due tendenze, chiarificava l’esposizione della dottrina mariana, la sua importanza pastorale ed ecumenica.

Il capitolo VIII di Lumen Gentium fu la “traduzione” anche del pensiero mariologico di Rahner, che in tutti i suoi scritti sulla Vergine sottolineava tale dottrina e indirizzo. Il tema centrale dei suoi discorsi è a prima vista non Maria, ma Dio: un Dio che ama l’uomo, si autocomunica all’uomo, il quale è capace di rispondere, per grazia, alla Grazia. Maria si fa interprete della più sublime risposta libera che una creatura potesse dare, per questo è in stretta relazione con Dio e col suo piano di redenzione, attuato nel suo, di lei e di Dio, figlio Gesù. E’ in relazione con Dio per la sua maternità divina e con l’uomo perché Dio vuol renderci figli nel Figlio. Ella costituisce il tratto di unione tra l’umanità da salvare e il Verbo che si fa carne in questa umanità peccatrice, divenendo il “primogenito di un gran numero di fratelli”. L’Immacolata Concezione rappresenta allora per Karl Rahner la “riuscita” mirabile di Dio che crea l’uomo a sua immagine e somiglianza e lo vuole capace di accogliere i suoi doni.

Punto chiave dei discorsi del teologo è il “sì” pronunciato da Maria il giorno dell’Annunciazione per sottolinearne il significato profondo ch’esso ha in tutta la storia umana. Egli afferma:

 

In un istante che non scomparirà più, la tua parola, o Maria, è stata la parola dell’umanità e il tuo sì l’amen di tutta la creazione o il sì senza pentimento di Dio []. Per la nostra salvezza hai detto il tuo sì, per noi tu hai pronunciato il tuo fiat, in quanto donna della nostra razza tu hai ricevuto per noi e rinchiuso nel tuo seno e nel tuo cuore colui il cui Nome solo salva in cielo e in terra.[1]

 

Questo sì dà senso definitivo alla vocazione dell’uomo, facendo entrare nel mondo il Verbo divino, è l’incontro tra l’eternità immutabile di Dio e la mobilità della storia successiva. Ci può sembrare che si parli di più dell’aspetto antropologico che di quello mariologico, Rahner osserva che non è così, perché parlare della stirpe umana è parlare di colei che con la Salvezza le dona la ragione di credere e di sperare riconoscendo che Dio “non cerca la sua gloria ma quella dell’uomo vivente”.

Rahner stabilisce anche un parallelismo tra Maria e la Chiesa, concentrando il pensiero sulla “persona” concreta della Vergine, sul suo modo di agire e sul suo destino; così facendo si riesce a comprendere meglio, che non mediante concetti astratti, che cosa sia la Chiesa. La mariologia e l’ecclesiologia si arricchiscono e fecondano a vicenda, la prima può mutare molti concetti della seconda, la quale a sua volta può precisare il posto e il ruolo occupato, all’interno della Chiesa stessa, da colei che è l’oggetto stesso della prima. Poiché la Chiesa non è qualcosa di statico ma si realizza continuamente in uomini concreti, nessuna creatura redenta, che faccia parte e costituisca la Chiesa, esprime la genuina essenza cristiana meglio della Vergine. Questa reciprocità (Maria-Chiesa) è riscontrabile anche nell’ambito dogmatico. Infatti, se per mezzo della fede noi sappiamo tante verità su Maria indipendentemente dall’ecclesiologia, è anche vero che ogni verità conosciuta riguarda anche la Chiesa, quindi tutte le considerazioni fatte su Maria hanno come cornice e misura la sua appartenenza alla Chiesa stessa.

Il nostro autore sottolinea anche che non si può parlare della Vergine partendo solo dalla sua maternità biologica perché lei, stando alla Scrittura, è la madre del Verbo eterno e mediante il suo fiat, che è un atto di fede, un assenso personale, un atto privato e nello stesso tempo “pubblico”, poiché riguarda la salvezza universale, permette l’attualizzarsi della redenzione. In questo umanarsi di Dio è già predeterminata la salvezza che si effettuerà sulla croce. In lei c’è quindi un’assoluta corrispondenza tra la missione ufficiale e la realizzazione personale. Perciò lei è il capolavoro dell’azione redentiva in fase di offerta e accettazione, è la creatura redenta per eccellenza. Riceve nello spirito e nella carne, nella fede e nella verità la Parola di Dio. L’accettazione della grazia, a titolo personale, costituisce tramite lei la salvezza di tutti.

Dobbiamo considerare anche che il principio fondamentale dell’ecclesiologia è che la Chiesa è al tempo stesso frutto e mezzo di salvezza; è la comunità dei redenti, è mediatrice di salvezza, genera alla vita e comunica e professa la fede che ha ricevuto proprio come Maria. La funzione passiva e attiva della Chiesa e di Maria è fondata completamente sulla grazia di Cristo per cui nessuna delle due vanno considerate accanto o indipendenti dall’unico mediatore Cristo Gesù. In loro dobbiamo esaltare soltanto la grazia di Dio che ha conferito questa funzione mediatrice che dipende e non può mai oscurare l’unica mediazione cristologica.

Rahner non nasconde la difficoltà ad utilizzare termini teologici ambigui, come “mediatrice”, “corredentrice”, “collaboratrice” o simili, perché possono presentare enormi difficoltà ermeneutiche e si prestano a malintesi semipelagiani o sinergistici. Egli auspica una chiarificazione del linguaggio, punto chiave del lavoro sistematico, dogmatico e teologico. A tale proposito distingue, in modo dettagliato, tra “redenzione oggettiva” e “soggettiva”, cioè tra il fatto della redenzione e la sua applicazione al singolo individuo, anche se questa specificazione può produrre una rottura tra l’opera redentrice di Dio e la sua accettazione da parte dell’uomo, poiché introduce in tale relazione un momento temporale; l’opera dell’uomo sembra essere un fatto posteriore e quindi di secondaria importanza. In realtà tutti gli eventi salvifici posteriori a Cristo restano sempre momenti e attuazione della stesso evento oggettivo della redenzione, perché sorretti dalla stessa volontà di Dio, che ci salva in Cristo.

Rahner poi passa a considerare i rapporti che devono sussistere tra il singolo cristiano, la Chiesa e Maria. Tutti hanno ricevuto gratuitamente il dono della grazia: essere “immediati” con Dio significa essere, per grazia, nel corpo di Cristo, cioè la Chiesa, nella quale Maria occupa un posto unico. Il parallelismo tra le due ritorna anche nell’esame dei singoli privilegi mariani; rinviando ai paragrafi successivi, accenniamo qui solo alla connessione tra l’assunzione di Maria al cielo e lo stato presente e futuro della Chiesa. L’assunzione non è un “privilegio” di cui solo Maria sarebbe partecipe, né solo “un’anticipazione” della definitività. La risurrezione di Gesù e la sua discesa agli inferi non sono eventi privati della sua vita ma eventi salvifici che riguardano sia i viventi sia coloro che sono privi della visione di Dio; il suo ingresso anche col corpo nella gloria costituisce una comunità corporea di redenti per quanto il numero dei fratelli non sia ancora completo e solo Maria abbia conseguito già la piena redenzione del corpo. Lo stato “futuro” della Chiesa è quello del Kyrios glorioso ed è già presente in Maria come nella sua perfetta realizzazione perciò, almeno in lei, la Chiesa è già pienamente redenta anche nella carne. Alla realtà della creazione appartiene già quella nuova dimensione che chiamiamo “cielo” e che un giorno si potrà chiamare anche “nuova terra”. Non si tratta della promessa di un futuro irreale ma della certezza che le forze del mondo futuro hanno già preso possesso di quello presente. In quest’ottica il dogma dell’Assunta chiarifica la situazione già esistente e nella quale viviamo e crediamo. Il privilegio dell’assunzione corporea acquista così una triplice importanza: mariologica, ecclesiologica ed escatologica.

Rahner non si ferma a contemplare Maria nella sua grandezza o ad approfondire le verità dogmatiche che la riguardano, ma aggancia la figura mariana direttamente alla vita soprannaturale e apostolica. Maria e la sua opera costituiscono il più tipico esempio dell’apostolato di una creatura umana, ecco perché è chiamata in tutta verità: “Regina apostolorum et confessorum”. La sua vita è la prima avventura apostolica di fronte alla quale ogni apostolato precedente è un barlume ed ogni successivo una derivazione e partecipazione. Pur essendo circoscritta in uno spazio e in un tempo, resta tuttavia, proprio nella sua unicità e irripetibilità storica, un modello vitale di apostolato. In lei riscontriamo quella stretta unità che lega l’apostolato del clero e dei laici nella Chiesa. Pur non essendo sacerdote, nel senso liturgico e ministeriale, occupa un posto unico nella Chiesa ed una funzione salvifica universale. Ai sacerdoti ricorda che ogni funzione ministeriale, radicata nello Spirito, parte dall’assenso vitale della persona e non si adagia sul fattore istituzionale, ma richiede la cooperazione di tutto l’essere umano e di tutte le sue potenzialità soggettive. Nel medesimo tempo Maria è anche la più irrefutabile smentita ad ogni “ideologizzazione laica”. Il suo apostolato, guidato dallo Spirito Santo, si svolge attraverso le varie fasi di tutta la sua vita nascosta e nel giorno di Pentecoste, con il suo silenzio e la sua sottomissione nei confronti dei Dodici, attesta l’unione e la mutua dipendenza dell’apostolato ufficiale investito dal mandato divino. La sua vita ribadisce ad ogni uomo che il compito essenziale resta sempre quello del servizio. In lei Rahner trova la sintesi più unitaria tra “actio et contemplatio”, poiché è in così grande sintonia con Dio che le risulta semplice ritrovarlo in tutto ciò che esperimenta. Ella è attiva nella contemplazione e contemplativa nell’azione. Il suo è l’apostolato della croce, del rifiuto, della partecipazione al dolore del Figlio, della speranza contro ogni speranza.

Questi semplici accenni degli studi mariologici di Rahner mostrano come egli si mantenga fedele ad uno dei suoi princìpi: la teologia deve servire alla vita interiore e all’attività apostolica.     

 

 

1 LA VOCAZIONE DI MARIA NEL QUADRO DELL’EVENTO CRISTOLOGICO

 

 

La mariologia e la venerazione a Maria hanno avuto nella seconda metà del XX secolo una storia assai movimentata. Si pensi al dogma della sua assunzione nella gloria di Dio in anima e corpo, alle infinite discussioni sul ruolo di Maria come “corredentrice” o “mediatrice di grazia,” alle innumerevoli controversie conciliari se promulgare un’apposita costituzione dogmatica su Maria oppure un capitolo che trattasse della Vergine nella Costituzione sulla Chiesa (Lumen Gentium). Controversie che portarono alla stesura del capitolo VIII di tale documento: “La Beata Vergine e Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa”.

Molte sono state, negli ultimi decenni, le oscillazioni per ciò che riguarda il fervore e il carattere esplicito della sua venerazione: il riconoscimento di un suo particolare compito nella storia della salvezza, l’affievolimento delle funzioni del mese di maggio, la diminuzione della pratica del rosario ed insieme lo strano fenomeno di una rivitalizzazione, nell’epoca del turismo di massa, dei pellegrinaggi verso i santuari mariani. Sono aumentati, sia in quantità che in qualità, dopo il Concilio, lavori teologici e spirituali, che cercano di risvegliare una nuova comprensione del dogma e del culto mariano con lo sforzo, come afferma il Concilio, di “astenersi con ogni cura da qualunque falsa esagerazione, come pure dalla grettezza di mente, nel considerare la singolare dignità della Madre di Dio”.[2] Questo ci aiuta a credere che il tema del culto mariano può oggi trovare di nuovo una giusta considerazione presso coloro che credono, come cristiani, alla redenzione avvenuta per opera di Gesù Cristo.

Se vogliamo riflettere  sulla figura  mariana, non possiamo dimenticare anche le ragioni socio-antropologiche che hanno influito sul culto e sulla tradizione di cui noi siamo debitori. Come dimenticare che nell’antico culto mariano confluivano il culto della madre, della vergine illibata o delle divinità materne presenti nelle religioni pre-cristiane? Questo è umiliante? No anzi, questo dimostra la bellissima realtà che il cristianesimo non tralascia, nella sua religiosità, alcuna dimensione ed esperienza umana, non ha alcuna paura del contatto e non teme di mettere in pericolo il rapporto con Dio mediato dalla grazia anzi, vi esprime tutta la portata dell’incarnazione, del “porre la tenda in mezzo a noi”. Questo diventa per noi oggi un interrogativo e un rimprovero per aver perso “l’umanità” e “l’elevatezza” di tale culto e per essere caduti nella banalità, nell’astrattismo e nell’indifferenza generale. Ciò che dobbiamo fare è ripartire, per far luce, dalla singolarità e dal significato che la Vergine ha per tutti gli uomini nella storia della salvezza.

Rahner insiste molto su questo “ripartire dalle origini” perché vuole ricondurre la comprensione del mistero mariano e i suoi sviluppi al punto iniziale, quello decisivo e definitivo dell’“historia salutis”, cioè l’Incarnazione. In quell’evento “il Dio che si comunica e l’uomo che accoglie l’autocomunicazione divina diventano irrevocabilmente un solo individuo”[3] e proprio a tale evento fondamentale è collegata la kecharitomène colei che “ non è rappresentata solo come un semplice episodio individuale in una biografia di Gesù Cristo, bensì come entità storico-salvifica esplicita”[4]. Maria è certamente l’umile serva del Signore, una donna povera e insignificante tra le altre, sperduta in un angolo del mondo, una donna con un senso religioso e spirituale comune alle donne pie del suo popolo e tempo.

La novità quindi non è in lei ma in ciò a cui lei rimanda, cioè la grazia divina che può operare qualcosa di grande in modo del tutto unico, nella storia di una donna comune: “Dio spogliò se stesso assumendo la condizione di servo”[5]. Egli si umilia alla bassezza della sua serva. Tale grazia ha operato così efficacemente in Maria, ch’ella ha accettato in se stessa, liberamente, l’incarnazione del Logos eterno per trasmettere al mondo il dono della vicinanza di Dio.

Essa è riconosciuta e celebrata in modo unico solo perché viene riconosciuta nel libero partner che le sta di fronte (Dio) che può operare, ancora una volta, un libero “sì”. Lei ha accettato per sé, per noi, per la salvezza dell’umanità la grazia che si è incarnata, dapprima nella propria fede e poi nel proprio grembo benedetto. Solo Dio poteva far sì che il Mediatore venisse accettato, in persona umana, liberamente e che tale accettazione fosse ancora grazia e che nello stesso tempo la grazia diventasse l’accettazione libera di sé stessa e del Mediatore, il quale si è fatto evento unico e irripetibile. Ella è, in questo senso, la genitrice di Dio (Dei genetrix), la madre di Dio (Mater Dei), anche se, la divinità del suo Figlio, non è ovviamente il frutto del suo corpo. Il suo “sì” contribuisce per il cristiano a motivare il fondamento e la dimensione della sua salvezza, perché per mezzo di un simile “sì” il Verbo apparve in questo mondo. “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”[6], “Venne nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo”[7].

Ma quale è il motivo di tale elezione? Perché proprio lei? Naturalmente “il perché” di Dio è soltanto di Dio ed è sempre un aspetto della sua infinita bontà. Egli è libero e indipendente da qualsiasi situazione creata, la sua volontà non subisce l’influsso di nessuna causa perciò ogni divina disposizione ha, nella sua gratuità, un senso. Maria non solo ha un posto singolare ma lo ha ricevuto come un elemento significativo della stessa economia salvifica. Tutta la mariologia s’incentra sulla ricerca di questo motivo divino della collaborazione mariana alla redenzione, anche se il “perché”, come abbiamo detto, resterà un mistero impenetrabile.

Due sono gli aspetti sui quali ci soffermeremo: la “Maternità divina di Maria” e la sua “Redenzione personale”. I due principi in realtà non sono che un unico principio, essi formulano, con diverse accentuazioni, la stessa idea; una volta riconosciuta quest’identità, sarà possibile ricollegare organicamente tutti quanti i misteri ed i privilegi che la riguardano e dimostrare che Maria è la privilegiata, riscattata nel modo più perfetto mediante la sua maternità accettata con un libero e personale impegno di madre e il suo totale assenso di fede, reso manifesto nella ricezione corporea del sacramento originario universale, l’uomo-Dio Gesù Cristo.

 

                

 

 

1.1    LA MATERNITA’ DIVINA

 

 

 

Totalmente avvolta dalla grazia di Dio, Maria fu “predestinata” ad essere Madre del Redentore e fu anticipatamente ricolma di quella vita divina, chiamata grazia della giustificazione, che la preservò dal peccato originale. Dalla dottrina della Chiesa noi possiamo affermare tale verità eppure non possiamo, anche se può apparire strano, affermare niente circa il corso della vita di Maria, dall’istante in cui cominciò la sua esistenza fino al giorno in cui l’angelo le portò il messaggio del cielo; tutto resta per noi un mistero insondabile di Dio. Dovette essere però una vita ordinaria, poiché la grazia di Dio non suole presentarsi con l’ostentazione dello sfarzo umano, ma si attua in modo semplice e nascosto, per cui il credente vive accettando le disposizioni divine e la vita quotidiana come se non potesse avvenire diversamente; servendo Dio nella fede e nell’amore tale vita diviene essa stessa una manifestazione del dono della grazia celeste. E’ in questo contesto di semplicità del quotidiano che noi dobbiamo pensare la divina maternità di Maria.

La Chiesa, per una riflessione teologica, ha sempre ritenuto e proclamato la filiazione divina di Gesù e l’unità della persona divina nella dualità della natura (umana e divina) nel medesimo Gesù e, nella stessa misura, questa fede ha ritenuto che Maria, essendo sua madre, è madre di quest’uomo-Dio, è Mater Dei, Jewtokos (Theotokòs). Ciò che la Chiesa, nell’espressione “natum ex Maria Virgine”, riconobbe fin da principio come appartenente alla traditio fidei apostolica, lo definì solennemente l’anno 431 nel Concilio di Efeso. E’ l’articolo di fede più antico della mariologia, cioè quello che crede realmente alla venuta di Dio stesso nella carne dell’uomo, e non si potrebbe parlare più di vero cristianesimo, là dove questo articolo non avesse più valore.

Evidentemente noi qui esporremo assai poco di questo mistero contenente la realtà della fede cristiana, ci basta solo dare alcune linee generali per comprendere meglio il ruolo di Maria nel piano salvifico di Dio.

Se consultiamo la Scrittura a proposito di questo mistero, ci colpisce una cosa: la Scrittura non parla tanto della dignità di Maria riferendoci i fatti della sua maternità fisica nei riguardi di Gesù, non dice tanto che Maria è Madre di Dio come conseguenza di un avvenimento fisico, ma ci parla piuttosto dell’atto di Maria in cui si fonda tutta la sua importanza e tutta la sua dignità. Agli occhi di Luca la grandezza della Vergine non consiste nella straordinarietà della maternità divina ma nell’essere la “benedetta fra le donne” per mezzo del sì della sua fede obbediente. Il suo consenso riceve una portata universale e un significato soteriologico dall’oggetto al quale si riferisce, cioè il divenire Madre di Dio.

Questo avvenimento non viene presentato subito come puro atto fisico, ma come fatto concreto del divenire madre con un atto libero e personale, frutto della grazia, per cui il misterioso avvenimento viene di colpo strappato da un destino puramente privato, da una relazione puramente biografica di Maria verso suo figlio, e innalzato e collocato nel piano di salvezza divino. La Madre appare come uno dei personaggi dell’alleanza, come Abramo e molti altri, che nel dialogo storico fra Dio e l’umanità, hanno cooperato alla nostra salvezza con una retta decisione. Le parole molto semplici della Scrittura ci sconvolgono: ad una creatura umana si presenta un angelo portando un messaggio inconcepibile, lei risponde incondizionatamente il suo sì e il Figlio dell’eterno Padre discese in questo mondo, nella nostra carne e nella nostra storia: Dio assunse per sempre il mondo stesso nella carne del Figlio. Da questo fatto, non solo biologico, dobbiamo partire per comprendere la verità della maternità divina.

Noi sappiamo che Dio ha creato il mondo, esso è opera sua, tutto appartiene a lui, quindi il creato e in esso le creature o possono restare ad una distanza infinita da Dio o possono essere coinvolte interamente da Lui nella sua vita divina. Con la sola creazione del mondo non è deciso ancora chiaramente quale delle due possibilità verrà attualizzata, poiché sarà comprensibile solo nel corso della storia effettiva. Dio ha creato un mondo libero di esseri personali, angeli e uomini, e per questo fra Dio e il mondo si svolge un dramma. Egli infatti, non è solo ad agire, non conduce da solo la storia, ma la sua inconcepibile onnipotenza consiste precisamente nel dotare la sua creatura di una reale libertà che le è propria: si instaura il formidabile dialogo tra il Dio libero e l’uomo libero. Ma ciò che è più singolare è che da parte di Dio questo dialogo è sempre aperto. L’uomo può, tra le possibilità finite della sua storia, prendere sempre di fronte a Dio una nuova posizione e Dio è infinitamente libero di rispondere come meglio crede. Da noi stessi non possiamo sapere la sua risposta verso di noi, perché anche quando abbiamo fatto esperienza di un determinato modo del suo agire nei nostri riguardi, non possiamo derivarne un principio generale, secondo il quale Dio dovrebbe agire sempre nello stesso modo. Come sapere allora la sua volontà su di noi? Dio ha pronunciato la sua ultima parola, quella definitiva, universale e irrevocabile; l’ha pronunciata inserendola realmente nel mondo, in modo tale che non può né ritirarla né interpretarla in maniera nuova con un’altra parola. Egli ha pronunciato questa parola, immettendo nel mondo la sua Parola, il suo Verbo eterno, così che è divenuto egli stesso, nella carne di questa umanità, parte di questo mondo; questa è una realtà ineliminabile che non sarà più revocata. Il Dio eterno si è determinato in modo tale che ora il mondo stesso è stato assorbito nella sua misericordia e non ha che un unico fine che lo supera infinitamente e che tuttavia gli è proprio: Dio stesso. Eppure, di fronte a questo mistero inconcepibile dobbiamo anche considerare che il Verbo si è incarnato per il fatto che una vergine, libera e dedita a Dio, disse al messaggero divino: “Avvenga di me secondo la tua parola”[8]. E’ Dio che ha voluto questo “sì” libero e disponibile da una sua creatura, per farne la porta attraverso la quale il Verbo entra nel mondo per assumerlo per sempre nella sua propria vita. Perciò Maria, essere umano della nostra stirpe, è la soglia della misericordia eterna, la “Ianua caeli”.

Naturalmente il fiat mariano è frutto della grazia divina, Dio ne è l’effetto e la causa, è il presupposto che Dio stesso si crea per venire nel mondo ed insieme però è anche la risposta libera della “benedetta fra le donne”. Per puro dono della grazia i doni di Dio dati a noi diventano precisamente ciò che di noi è più proprio; più il dono è grande, maggiore è la dipendenza da Lui e più esso diventa proprietà nostra. Ciò che Dio dà, ci appartiene veramente e costituisce l’essere creato dell’uomo, non perché ci sia dato, ma perché è pura grazia, dono gratuito, è l’apriori che ci costituisce. Se Dio ha dato alla Santa Vergine di poter aprire il mondo con libero consenso della sua maternità alla misericordia divina, quel sì, in fondo, è allora veramente e nello stesso tempo, parola sua-Sua e atto suo-Suo. E’ dono di Dio e appartiene a lei e non può essere disgiunto da lei; ella è e resta per sempre colei che per noi, per la nostra salvezza e, in questo senso, in nostro nome, ha pronunciato quel fiat col quale il Verbo è diventato carne. La sua maternità, non soltanto fisica, è dunque pura grazia di Dio e insieme suo atto libero. Questi due elementi pongono tutto l’essere di Maria al servizio di Dio e a favore degli uomini.

Ma poiché questa maternità divina in quanto avvenimento personale della fede, entra a far parte come tale della storia della salvezza, Maria acquista una reale relazione con noi che viviamo in questa storia di salvezza da lei determinata; in questo senso essa è anche madre nostra. Non si tratta così di onorare un privilegio che convenga alla sua esistenza privata, non è un titolo di onore giuridico o un modo diverso per poter parlare delle nature ipostatizzate del e nel Figlio, ma la sua maternità è questione che ci riguarda perché riguarda la salvezza in Cristo Gesù suo figlio. La sua maternità divina ci sembra davvero essere il punto centrale del mistero mariano.

Considerare la maternità di Maria ci permette di comprendere, in quanto madre di Cristo capo dell’umanità, due realtà: Maria è già in relazione con l’umanità da riscattare; l’incarnazione è già essenzialmente redentrice. Di conseguenza, l’assenso di fede con cui Maria accetta di diventare madre del Messia è implicitamente un assenso di fede al sacrificio redentore della Croce. La sua com-passione sul Calvario non è che il prolungamento più manifesto del suo esplicito fiat alla maternità anzi, esso deriva proprio dalla sua maternità concreta, maternità verginale però, ecco perché non dobbiamo dimenticare che maternità e verginità non possono essere due misteri giustapposti. Maria è madre in quanto vergine e questo denota anche come tale maternità sia stata liberamente accettata. Così pure l’assenso di fede da lei vissuto e la maternità non sono due misteri separati ma si identificano con la natura sovreminente ed unica del suo riscatto oggettivo e soggettivo: lei è la riscattata nel modo più perfetto proprio in vista del privilegio unico di essere la Mater Dei. La sua redenzione è imperniata sulla sua maternità, come d’altra parte questa maternità concreta è imperniata sull’eminenza del suo assenso di fede; questi due aspetti sono collegati tra loro pur situandosi su piani differenti. Ecco perché non possiamo parlare soltanto di funzione biologica ma di impegno personale e libero: è l’assumersi personalmente un compito salvifico che la unisce all’uomo-Dio, dice sì proprio nell’essere madre e viceversa; in quella maternità concreta si attuano la sua maternità, la santità personale, la sua e nostra redenzione.

L’antica tendenza che partiva solo dalla maternità, tralasciando i diversi aspetti esistenziali, la considerava in maniera troppo astratta, solo biologica, e trascurava l’aspetto essenziale: l’impegno personale nella fede.

Maria è “privilegiata”: riscattata mediante il suo assenso totale di fede reso manifesto nella ricezione del Verbo, e quindi mediante la sua maternità accettata con libertà e con personale impegno di madre.            

 

 

 

 

1.2     MARIA MADRE VERGINE

 

 

Il Credo che ci è trasmesso dai primi tempi della Chiesa e che chiamiamo perciò Simbolo Apostolico, professa la fede nella maternità divina di Maria, affermando espressamente: “ex Maria Virgine”. La Chiesa perciò, come mostra anche l’evangelista Luca, dal tempo degli apostoli, annuncia che Maria, in quanto Madre, fu anche Vergine, ritenendo e professando lungo i secoli e contro le diverse eresie sviluppatesi lungo il corso della storia, che concepì suo figlio senza la cooperazione di un uomo, rimanendo vergine anche nel parto.

Non c’è bisogno di inoltrarsi sul contenuto inteso direttamente da questo dogma; piuttosto può apparire necessaria una parola su ciò che si vuol dire quando si afferma che Maria fu Vergine non soltanto prima e dopo il parto, ma nella generazione stessa. Daremo qui delle linee generali e rinviamo alla sistematicità del discorso che tratteremo in seguito nel capitolo “Virginitas in partu”.

Noi sappiamo che ci sono processi corporei, per quanto nella loro essenza si pres...

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