P. A. Sequeri, '98-'99, il XVII secolo, l’età cartesiana.doc

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PA. Sequeri corso ‘98-’99

 

20.10.1998

Rispetto alla strategia dei corsi degli ultimi anni questo è un corso più storico e il periodo è il XVII secolo, l’età cartesiana. L’oggetto di ricerca è sollecitato da alcuni interessi: ricostruire aspetti noti della tradizione teologica (la letteratura è limitata) e ritrovare nodi ancora problematici e oggi ancora interessanti.

L’interesse attuale è l’interrogativo a proposito dei legami che ci sono fra coscienza, ragione, spirito. Il nesso fra queste tre figure aleggia nell’aria di tutti i discorsi che esprimono insoddisfazione in filosofia e teologia. Di questo nesso non si occupa la teologia, né la teologia morale, né la teologia fondamentale ma in questi ambiti la teologia fatica a organizzare i contenuti di questi rapporto, mentre è vivace la contestazione alla riduzione razionalistica del concetto di coscienza o all’obsolescenza del concetto di spirito (che oggi è spesso dimenticata).

La teologia denuncia una certa difficoltà a organizzare il discorso tra queste tre figure, denuncia l’equazione pensiero-ragione, ricerca una metafisica dell’interiorità dell’uomo non sostanzialistica ma non ha una idea di spirito sufficientemente persuasiva (la rivincita dello spirito fu storicamente la sola forma idealistica). L’esigenza è denunciata con l’impotenza.

La stagione delle scienze dell’uomo che aveva coltivato l’idea di poter uscire dalla obsolescenza delle categorie filosofiche per dire l’effettività dell’uomo (psiche, inconscio, legami di interazione, emozioni ecc.) è oggi avvertita l’insufficienza di quel progetto, il suo eccesso di ambizione.

Il fronte della filosofia e della teologia ha preso distanza dall’uso forte delle tre categorie suddette e le usa solo allusivamente, non realisticamente. Su questo punto si sente il bisogno di una convergenza per esprimere non una teoria ma un universale umano, una res condivisa. Il bisogno di interiorità appartiene alla comune identità dell’uomo, è senso comune il punto di consenso di aver bisogno di ritrovare la interiorità-identità dell’uomo oltre al conflitto delle interpretazioni per poter dire quell’istanza universalmente condivisa dell’occidente. Nella pubblicistica vengono chiamati “il ritorno del sacro”, il “bisogno di spiritualità”, la “rivincita dei sentimenti”, il “riflusso nel privato”, ecc.

Il ritorno alla fede nell’“occidente cristiano” è forma di una relazione a distanza con la fede stessa (con la religione è così già da tempo). Non è solo il “come se”, la fede non è semplicemente la coscienza ma convive con essa, è oggi una “scelta”, il sé e la fede sono elementi distinti. Anche la certezza individuale della sfera del “sentire” (una volta crollato l’ideale razionalistico della certezza: l’identità tra me e le mie idee) è venuta meno con l’affermazione di senso comune dell’identità derivata dell’io (la psicoanalisi). Si viene al mondo oggi sapendo di non essere veramente se stessi. La crisi è antropologicamente epocale, oltre al “sentire”, assorbito ormai dallo schema psicoanalitico del dubbio, non c’è più niente. Il proprio sentire è percepito come prodotto di altro, non come immediatezza di un’evidenza di sé. Si assiste alla convinzione culturale che questo progressivo slittamento va messo in discussione, persa l’ultima spiaggia della immediatezza del “sentire”.

La deriva di questa sequenza dallo spirito alla ragione, dalla ragione alla coscienza, dalla coscienza al sentimento va ripercorso perché il tragitto percorso è stato una delle vie, non l’unica obbligata. Questa strada della rivisitazione della modernità è una strada che ha pochi anni, inizialmente si è imposta non tanto dalla parte della filosofia (legata a una autolettura lineare dei suoi percorsi: Cartesio, Kant, Hegel) o della teologia (poco attenta a questi temi) ma piuttosto dall’ambito della storia della cultura che ha prestato particolare attenzione all’evoluzione dell’idea politica dell’occidente (si impara di più sulla crisi dell’individuo da De Tocqueville che da Heidegger, i grandi economisti del 1700 sono anche grande economisti).

 

Todorov in Le jardin imparfait, Grasset: tutte le idee su spirito, coscienza, ragione, nella modernità hanno lavorato in un primo periodo per dare l’identità dell’uomo saggio, che riflette, valuta, giudica in modo maturo. In questo contesto il rischio era quello di rappresentare un ideale un po’ aristocratico. Tra il 1500 e il 1600 tali idee non erano diffuse, se non tra filosofi e teologi che cercavano un modello diverso da quello monastico per l’uomo moderno. Questo discorso di ricostruzione dell’uomo “morale e religioso” a fronte dell’uomo “commerciale” ha avuto le sue possibilità quando una generazione successiva ha coltivato l’ambizione di fare di quell’impianto il modello pubblico, del cittadino, politico. Qui nasce la “ragione”, la “coscienza”, lo “spirito” alla realizzazione dei quali tutti dovevano concorrere in un sistema di leggi regolamentate da un costume e dove l’ideale morale era il punto di partenza e non la conquista di una cittadinanza. In partenza ogni singolo essere umano era definito cittadino dotato di ragione, libertà, spirito, et. idonee a realizzare in lui una qualità morale, spirituale, civile. L’organizzazione pubblica della polis garantisce a tutti le condizioni di realizzazione il programma di base: razionalità critica ed efficiente, coscienza che sia possesso di sé, spiritualità capace di dignità e saggezza. Il progetto è per tutti, non deve ciascuno rifare il percorso di Cartesio, Montaigne, Malebranche.

Da allora fino ad oggi si osservano i guadagni e le ambivalenze di questa impresa.

L’idea di una provvista generale alla quale tutti possono attingere e la forma democratica spuntano l’ambizione spirituale del singolo (dove precedentemente invece era affidato a lui e solo a lui tutto il compito: De Toqueville osservava già una progressiva disincentivazione, non circolano come i beni economici; in filosofia si deve aspettare Adorno e Horckheimer).

Le categorie di coscienza, ragione, spirito non erano dunque immediatamente declinate sul modello illuministico ma appaiono in chiave già moderna (emancipazione dell’individuo) seppur antiilluministiche. L’illuminismo sarebbe un interprete della modernità non l’esito necessario; l’uso di quelle categorie con finalità politica e i vantaggi che ne sono derivati ha comportato anche il sacrificio della loro qualità individuale.

Interessante è cogliere la nascita di queste figure prima del loro uso politico, per poterne apprezzare il legame significativo tra queste figure. Lì nasce la semantica contemporanea ma attraverso il filtro potente che non ha fatto passare altre cose che lì c’erano. Passate sono quelle cose utili e funzionali alla amministrazione democratica-politeistica della società civile ma non funzionale all’individuo, al senso, alla morale, agli affetti, ai legami.

Prima dell’uso della “seconda modernità” c’erano questi legami, era stato affrontato il problema tra l’identità della persona e l’insieme dei suoi legami o si andava subito al solipsismo della coscienza razionalistica?

 

Collegato è il problema del rapporto tra filosofia e spiritualità (non religione). Escono oggi testi su questi argomenti: Esercizi spirituali e filosofia antica che suggerisce l’ipotesi per la quale il razionalismo ha riscritto l’intera della storia della filosofia tagliandone dei pezzi; Esercizi filosofici in Cartesio (in tedesco, che paragona il metodo cartesiano e Ignazio); Philosophy and good life sulla filosofia greca, cartesiana e nella psicanalisi; De Monticelli La ascesi filosofica. La modernità non è nata come sgancio dalla religione con buona pace di Heidegger e della storia filosofica dei manuali. La filosofia dello scientismo ottocentesco ha occultato questa origine, la teologia non ha avuto la forza fino ad oggi di riscrivere l’inizio diverso della modernità.

 

27.10.1998

Il corso mira a svolgere il tema che noi abbiamo dato in assunto che è un tema di merito. Direttamente non interessa la ricostruzione storica, anche se bisogna dare delle coordinate perché questa è una parte della teologia in genere sconosciuta ai manuali; così pure riguardo alla storia della filosofia che è utile conoscere per avere un appoggio in più.

L’idea è però quella di enucleare un tema che costituisce un interrogativo anche per noi e si presenta sostanzialmente negli stessi termini in cui si è presentato nel ‘600 e per questo motivo lo andiamo a ripescare perché è un interrogativo inevaso, perché sopraffatto da altri congegni teorici, da altre modalità di organizzazione della domanda che hanno soffocato alcuni aspetti di quell’interrogativo originario che adesso sono quelli che si presentano a noi come lacune come aspetti insoddisfacenti delle soluzioni che noi nel frattempo abbiamo ricavato dalla storia recente. L’altra indicazione è che questo argomento di merito che si colloca sullo sfondo storico tuttavia cerca di consolidarsi, di assumere un po’ di contenuto e di consistenza in riferimento ad un autore considerato rappresentativo, emblematico del nodo di questo interrogativo e dello sforzo di risolverlo. La giustificazione di questo carattere emblematico, che è giustificazione storico-teorica, chiede, anche se non è il nostro scopo diretto, una certa conoscenza concreta dell’autore, una certa contestualizzazione del suo pensiero in questo ambito di ricerca, perché la possibilità di percepire il senso di questo interrogativo che noi cerchiamo di enucleare, dipende anche dalla possibilità di ricostruire il pensiero degli autori rappresentativi di questa epoca al di fuori della griglia convenzionale della loro recezione storico-filosofica.

 

L’autore preso in considerazione sarà Malebranche, il quale grosso modo verrà assunto da noi come un autore che ha l’ambizione di provvedere al completamento dell’assunzione della prospettiva spirituale del rinnovamento del cristianesimo che abita la cosiddetta controriforma dalla parte filosofica.

Quindi il congegno della nostra tesi è: scopriamo nella controriforma cattolica come la storiografia ha già messo in evidenza degli elementi propositivi, una elaborazione originale che la storiografia cattolica e quella non cattolica hanno sacrificato all’idea di contrapposizione al protestantesimo, come se tutto il 1500 e il 1600 fossero da incapsulare in questo schema. E’ il cattolicesimo che richiude i ponti e si raccoglie intorno alla scolastica e fronteggia l’offensiva protestante e quella protoilluministica che sta per seguire (il libero esame, il ‘sola Scriptura’, ecc.).

Ormai la storiografia in generale, sia cattolica che non cattolica, è sensibile alla eccessiva schematicità di questo tema e tuttavia il lavoro corrispondente, cioè l’esame a tutto tondo di questi autori, per vedere al di là delle contrapposizioni polemiche per vedere se essi abbiano o non abbiano un pensiero originale, è ancora molto in ritardo.

Sullo sfondo di questa tesi storiografica, che ci siano qui dei fermenti propositivi, tenendo conto del fatto che tra questi fermenti propositivi c’è una comune reazione nei confronti della teologia e filosofia scolastiche dell’epoca, questo ha di che apparire inedito allo sguardo convenzionale (per noi questa è l’epoca dei manuali, della scolastica che reagisce al protestantesimo). La maggior parte degli autori cattolici, e degli autori cattolici anche di un qualche rilievo, e anche quelli che sul piano spirituale sono dei rigoristi , come certamente Berulle e Malebranche, trattano come un luogo comune la necessità di superare la scolastica. Quando Cartesio arriva a condurre il medesimo programma in termini generali, cioè di liberare la ricerca filosofica dall’ipoteca della tradizione scolastica sfonda una porta aperta: è un luogo comune in quel momento anche da parte di autori religiosi, spirituali, irridere alla scolastica ai suoi ritardi, alle sue convenzioni, alle sue schematizzazioni, al suo carattere obsoleto. Essa è motivo di insoddisfazione congiunto sia dal punto di vista filosofico che spirituale. In questo obiettivamente anche all’interno della controriforma cattolica si realizza una contiguità reale nei confronti della critica riformata. Per opposti motivi se si vuole, ma l’idea che la scolastica sia più dannosa che utile al pensiero religioso, all’esperienza della fede alla qualità cristiana, è un luogo comune.

Però ecco dove sta la relativa novità che vogliamo percepire: fino a Malebranche la reazione cattolica, teologico spirituale nei confronti della scolastica ha tutti motivi di carattere religioso, che attengono alla qualità cristiana dalla fede, che si collegano al pensiero mistico della fede, al pensiero della fede come esperienza della relazione con Dio, alla spiritualità insomma (è il secolo della spiritualità che cerca di sopperire alle insufficienze della teologia, ai limiti di una fede identificata con l’adesione dottrinale).

Cartesio si propone di far valere questo motivo dell’antiscolastica come un motivo fecondo per il rinnovamento della filosofia, non senza un interesse apologetico, suggerendo al cristianesimo che cambiare filosofia gli gioverà, però tenendosi fuori dal problema dell’interpretazione del cristianesimo. Ecco la novità: Malebranche tenta questa operazione sul piano della filosofia interna al cristianesimo e funzionale ad una comprensione che sia insieme moderna e radicalmente teologica del cristianesimo. Elaborare una filosofia che sia allineata con entrambi i motivi che trova nel suo contesto: il motivo tipicamente spirituale che dice che quella filosofia scolastica ammazza la spiritualità cristiana, il motivo tipicamente culturale-filosofico rappresentato idealmente da Cartesio, che dice che quella filosofia è ormai incapace di rappresentare una comprensione rigorosa della verità all’altezza dell’odierna esperienza del mondo. Malebranche in questo ha la sua originalità.

La conoscenza della teologia di Malebranche è assolutamente trascurata e quindi cercheremo di recuperarla. Nei manuali di filosofia è conosciuto soprattutto per l’ontologismo, nei manuali di teologia è conosciuto per la problematica del rapporto natura e grazia e per la cosiddetta tesi dell’occasionalismo teologico.

Cercheremo quindi, andando anche ai testi, di vedere nella sua compiutezza il senso di questo progetto, perché ci incuriosisce che all’origine della modernità si possa formulare un progetto in cui si saldano non un cristianesimo filosofico e una filosofia mistica che già sono fatti per incontrarsi, ma un cristianesimo mistico, spirituale (che ha molti aspetti di affinità col giansenismo quindi con una interpretazione rigoristica della fede cristiana e frequenta largamente i temi del disprezzo della sapienza terrena, della necessità di prendere distanza del mondo ecc.) con una forma radicale della coscienza filosofica, quella che è diventata il simbolo della modernità, quella del cogito cartesiano, che parte proprio dall’esercizio di un dubbio critico e non da un presupposto metafisico.

 

Questo ci incuriosisce perché la sensazione, l’ipotesi che sta alla base del nostro assunto e che giustifica l’attualità di questa investigazione starebbe nella sensazione che noi ci troviamo, per così dire, di nuovo in questo luogo (dopo aver sperimentato sia la possibilità di un cristianesimo filosofico, cioè declinato come filosofia e teologia aperte alle dimensione culturale, antropologica, ermeneutica, interpretativa della fede, quindi un cristianesimo della convergenza, del dialogo, che aveva di fronte come interlocutore una ragione critica la cui radicalità consisteva nella necessità di prendere la distanza da ogni presupposto che non fosse quello dell’io pensante, della coscienza, del soggetto). Qui abbiamo l’accendersi di un’ipotesi contraria a questo modello che per noi è quello corrente (o professiamo un cristianesimo essenzialmente legato alla forma della fede, che come forma del rapporto teologale non è in alcun modo decisa dalla ricerca critica della verità, che le rimane in qualche modo esterna, oppure in alternativa ci troviamo di fronte alla raccomandazione di percorrere la ricerca della verità secondo l’istanza moderna cioè radicalmente critica, e dunque far percorrere anche al cristianesimo la strada della problematicità, della sospensione di ogni certezza definitiva).

 

Questi sarebbero i giochi che si presentavano appena prima di Malebranche. Il cristianesimo e la modernità si trovavano predisposte queste due vie, e se le trovavano anche raccomandate. Il protestantesimo del XVI secolo e la mistica spagnola del XVI secolo concordemente su questo punto raccomandavano questa alternativa: di assegnare cioè il rigore il rigore e la radicalità della forma spirituale della fede all’idea della relazione con Dio (al rapporto teologale con Dio, che è su un altro registro rispetto alla ricerca della verità, al processo critico di problematizzazione dell’esperienza ecc.).

Chi raccomandava invece l’esercizio della mediazione, cioè la scolastica post tridentina, era in una posizione fondamentalmente debole precisamente per il suo rapporto con la scolastica. Anche quell’intelligenza spirituale di stampo cattolico che condivideva l’ortodossia cattolica tuttavia la condivideva prendendo le distanze dal sistema scolastico di ragione e fede, la condivideva fondamentalmente sul piano disciplinare.

Infatti l’oratorio, con Berulle, insiste sul motivo autoritaristico della forma della fede. La fede non avendo a che fare col processo critico della conoscenza si riceve dall’alto e non ha ulteriore necessità di essere investigata, perché il suo punto essenziale è il conseguimento di una relazione effettiva con Dio e non l’accumulo di verità né teologiche né non teologiche.

Malebranche, che è dei preti dell’oratorio di Berulle, che è fedele a questa spiritualità, che combatte il sistema gesuitico della conciliazione tra cultura e forma religiosa, e quindi è dal lato rigoristico, dal lato della dialettica, della contrapposizione tra spiritualità e conoscenza, tuttavia formula un progetto che in rapporto al contesto ha una strana audacia, perché Malebranche è un convinto cartesiano, convinto che la filosofia sia in grado di fornire parola, logica, lessico e conoscenza alla forma dell’uomo spirituale e sia per così dire l’aspetto che rende possibile all’uomo spirituale di declinarsi umanisticamente, cioè di farsi intendere anche come figura adeguata dell’umano, dell’umano ricercatore della verità.

Di qui l’interrogativo di rimbalzo, a sua volta duplice, che cercheremo di inseguire. Dal lato della spiritualità: che cosa consente a questa spiritualità tendenzialmente pessimistica di saldarsi con un programma come quello cartesiano? Che parentela c’è tra giansenismo e umanesimo?

Secondo interrogativo simmetrico: che cosa si può trovare in Cartesio che sia capace di interpretare non semplicemente un processo critico della conoscenza, ma di interpretare la spiritualità della relazione con Dio, il legame dell’anima con Dio come centro di una vera conoscenza del mondo, delle cose, ma di una conoscenza che ha il sapore di una relazione spirituale, di una illuminazione mistica, di un rapporto teologale?

Noi non siamo abituati a leggere così Cartesio, eppure Malebranche legge Cartesio così. Questo genere di cose che va contro la logica che noi abbiamo ricevuto, contro tutti i percorsi cui noi siamo approdati (se è criticismo non può essere misticismo, se è percorso della conoscenza non può essere relazione spirituale, un conto è la conoscenza filosofica di Dio, un conto è la relazione affettiva, spirituale con Dio, un cristianesimo rigoristico va nel senso di contrasto con la sapienza del mondo, distinzione tra filosofia e spiritualità).

La idea che qui percepiamo è una lettura di Cartesio in cui sembra che filosofia e spiritualità siano strettamente legate e una interpretazione del cristianesimo in cui sembra che il motivo umanistico della ricerca della verità sia collegato con il motivo rigoristico agostiniano della impotenza dell’uomo a raggiungere la verità, a realizzare la propria libertà a causa del peccato, ci sorprende e ci incuriosisce a proposito dello schema convenzionale in cui abbiamo assestato le nostre figure storiche e di cui abitualmente ci serviamo.

 

Bibliografia

Malebranche, La ricerca della verità, Laterza, Bari 1983.

Malebranche, Trattato della natura e della grazia, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1993.

Malebranche, Trattato dell’amore di Dio, Rusconi (ottima è l’introduzione).

Leduc-Fayette D., Malebranche et l’intelligence de la veritè, Ellipses, Parigi 1998.

De Maria Amalia, Storia Sacra Scrittura e Tradizione nel pensiero di Malebranche, Rosenberg e Sellier, 1997.

Ecklholt M., Vernunft in leiblickeith bei Nicolas Malebranche, Tyrolia, 1994.

Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi.

Gottingham J., Philosophy and the good life - ragioni e passioni nell’etica greca, cartesiana, psicanalitica, Cambridge University Press.

Bourdieu Pierre, Meditations Paschallien, Seuil, Paris 1997.

De Monticelli Roberta, L’ascesi filosofica, Feltrinelli, Milano 1995.

De Monticelli Roberta, La conoscenza personale, Guerini Editore, Milano 1998.

Norte U., Philosophischen Exercitien bei Decartes.

Lyotard J.-F., La confession d’Augustin, Ed. Gallie (editore attento al filone neofenomenologico).

 

03.11.1998

Per questa attualizzazione indico tre testi: quello di Todorov; De Certaux, Tabula mystica. La spiritualità religiosa tra XVI e il XVII secolo, Il Mulino; Chretiens sans eglise, ampia panoramica non convenzionale sul seicento sulla questione del rapporto tra fede e legame confessionale.

 

L’introduzione al contesto del periodo di Malebranche, ai suoi interlocutori precede nella nostra esposizione la lettura di Malebranche, per individuare il nocciolo tra esercizio della ragione in chiave non illuministica ma spirituale, morale che dovrebbe essere in grado di illuminare problemi attuali che scontano l’intercettazione di questo nocciolo dalla versione razionalistica.

Questo problema ha segnato la fase d’avvio della nostra epoca culturale (l’incontro con le altre religioni, il senso dell’insopportabile centralità del nostro punto di vista culturale, l’indebolimento della fiducia nella ragione metafisica).

 

Due sono i filoni:

1. quello culturale-filosofico: la ripresa dell’antico pensiero scettico e il movimento del pensiero libero, della libertà spirituale di origine medioevale e qui riconvertito in prospettiva culturale con l’alleanza con lo scetticismo: il prodotto nuovo è il libertinismo. Gli impulsi moderni presenti in questo fenomeno (l’apertura all’individuo, la moderazione civile, la tolleranza religiosa) passeranno nell’illuminismo (razionalmente scientifico e culturalmente umanistico) con l’ambiguità di queste due anime con le quali stiamo facendo oggi i conti (pensiero umanistico che esalta la ragione per liberarsi dalla teologia e che ne indebolisce le pretese per non cadere in un nuovo assolutismo).

2. quello religioso-spirituale. Ci occuperemo della tradizione della mistica del ‘500 che circola in Europa non senza collegamenti con quella precedente renano-fiamminga e con quella medioevale (radicalismo della fede è la sua semplificazione) e la spiritualità del cardinale Berulle con la sua invenzione del cristocentrismo e con il suo modo originale e provocatorio di approcciare la modernità che vive il contrasto giansenisti e gesuiti (mentre di là era tra metafisici e libertini) che sono, dietro le dispute teologiche, interpretazioni della modernità (giusto riscatto della natura dell’uomo o variazione dello smarrimento permanente dell’uomo, della ragione, del suo pensiero che chiede di essere sanata dalla religione?).

 

Il filone culturale-filosofico: lo scetticismo e il libertinismo

Lo scetticismo è ripresa della corrente del pensiero antico ellenistico (III secolo) da parte di Montaigne che opera a partire dalla metà del ‘500. Montaigne lo riattualizza collocandolo nella prospettiva della modernità.

Lo scetticismo antico è noto anche come pirronismo, nel dibattito dell’epoca “pirronismo” è un’accusa, con Montaigne invece assume un valore positivo in quanto riveste una connotazione morale, sinonimo di forma della saggezza la cui caratteristica fondamentale è l’umiltà dello spirito che rifiuta i giudizi assoluti, le verità assolute per giudicare la vita propria e altrui. Positivamente si propone una prospettiva di saggezza, di pratica della virtù che sulla relatività della ragione appoggia un comportamento edificante, uno spazio di integrazione per la fede e la religione. Integrazione di valore pratico (affidare alla religione la custodia di valori fondamentali) e anche teorico (apologia della religione possibile dalla moderazione della ragione: l’uomo ha bisogno di certezze e di motivazioni sicure per agire moralmente ha a disposizione la religione, le filosofie sono insufficienti).

C’è allora una ambivalenza del ruolo dello scetticismo: impiegato come principio corrosivo di ogni certezza (anche quelle religiose), di emancipazione civile dalle autorità ecclesiastiche, ma anche di apologia della religione facendo valere la certezza della fede perché conseguita da altro modo da quello razionale (i dogmatici) ma affittandosi alla tradizione e alla rivelazione.

Qui, e non dalla scolastica, si è impiantato quel codice della lingua comune che ancora oggi si parla in Europa. Lo scetticismo diventa un metodo ed è praticato anche da Cartesio; permette di uscire dalla contrapposizione tra scolastici e accademici (quelli che vedono solo lo sfacelo della tradizione medioevale).

In questo contesto è un nuovo inizio: diventa famoso come testo filosofico un’autobiografia, una filosofia “narrativa”. Qui non è la agostiniana ricerca della verità ma piuttosto la pratica della virtù che ispira i limiti e i confini della ricerca della verità. Viene ripreso lo scetticismo che era anche socratico (anche se gli scettici mettevano Socrate fra i dogmatici per la sua insistenza sulla ricerca della virtù). Mentre lo scetticismo antico si propone come metodo per distruggere l’illusione di una verità ultima (in un periodo di frantumazione politico-civile), quello di Montaigne è uno scetticismo conseguente alla delusione sul fatto che le diversità, pretendendo di avere la verità assoluta, sono motivo di conflitto.

Oggi infatti sopravvive ancora questo sospetto sulla “verità assoluta” perché essa porterà prima o poi a un conflitto (là furono le guerre di religione che dureranno per tutta la vita di Montaigne). Lo scetticismo è un rimedio al conflitto: predispone le premesse teoriche che impediscano di pensare come sensata teoricamente e quindi politicamente la ricerca di una verità assoluta; la ragione umana ritrova la sua universalità e il suo spirito di comunione quando impara a riconoscersi incapace di verità assolute. In contrappunto a questo sfondo sta la ricerca del connubio tra virtù e saggezza che però è individuale (un popolo non riesce, bisogna rinchiudersi nella cella della propria anima: è il modello monastico!).

Il seicento è attraversato dall’idea di risalire la china della demoralizzazione scettica percorrendo una strada nuova rispetto all’antica metafisica scriverà “Consigli”, “Meditazioni”, ecc.; non si esprime alcun impulso prometeico, si dice la centralità dell’uomo ma che non è centralità dell’umano: è solo la centralità di sé. Questa svolta contiene questa ambivalenza. Alla fine della parabola abbiamo Rousseau dove diventa conflittuale l’articolazione fra la ricerca interiore e il rapporto sociale della vita nella città (la via d’uscita di Montaigne diventa in Rousseau un ripiegamento di fronte alla persecuzione del mondo della cultura, dei salotti, dell’università).

L’uomo civile è ancora aristocratico, incarna l’ideale umanistico ma senza ciò che aveva tenuto in piedi l’umanesimo classico: il panteismo naturalistico (Giordano Bruno). Non c’è alcun sistema, c’è lacerazione, separazione, molte verità anche a riguardo dell’umano.

 

C’è una doppia ambivalenza: la prima sul piano dei rapporti fede-ragione. Si relativizza la religione ed è anche apologia della religione disancorata dal piano della ragione e dai suoi conflitti (è anche il periodo della nascita dell’apologia, Cartesio dice che si sa che Dio esiste e che non ci inganna, il resto è fede).

Sul piano dell’esperienza umana c’è solo la ragione e i suoi limiti. Malebranche si butta a testa bassa contro questo aggiustamento senza regredire verso la scolastica ma assimilando gli elementi della modernità (il dubbio, l’interiorità) e facendo un’esaltazione della ragione, facendola coincidere con l’esercizio dell’interiorità (e su ciò costruisce una apologetica non estrinsecistica). L’esercizio della ragione è guidato dalla persuasione che c’è una obiettiva apertura dell’interiorità all’illuminazione divina che assicura il collegamento.

Questo clima, questo impiego della topica della debolezza della ragione, è motivo che percorre già l’umanesimo con Erasmo e l’elogio della follia in contrasto con Lutero protagonista di un fideismo antirazionalistico, che censura Erasmo sul filo dell’ambiguità che scoppierà alla fine del seicento. Se si segue Erasmo si perde il fatto che la certezza del cristiano è una vera certezza, mentre Erasmo smonta la forma della certezza. Lutero dice che è impossibile fidarsi di colui che dubita, è impossibile credere di credere, almeno lì deve darsi la differenza, se no tutto è perduto. Lutero introduce il principio di una certezza e verità assoluta che, dandosi nella fede, sono inaccessibili alla ragione umana. Anche oggi in pubblico il cristianesimo è “una proposta”, tra i “nostri” è invece la verità.

I protestanti rispondevano all’accusa di irrazionalismo da parte cattolica (la fede luterana era sospesa alla grazia lontana dalle altre esperienze del sapere umano), dicendo che irrazionale è sottrarre la certezza della fede all’esperienza individuale dell’evidenza della propria coscienza, come fanno i cattolici (che salvano solo la tradizione e dunque non hanno alcuna certezza).

 

10.11.1998

All’elenco dei volumi di attualizzazione del tema potete aggiungere Fabrizio Desideri, L’ascolto della coscienza, Mondadori, Milano 1998 (l’autore insegna estetica a Firenze, è uno dei rarissimi testi della filosofia non “religiosamente” coinvolta che tratta questi temi della coscienza. Solo che se lo fanno loro, è una ripresa che va bene, se lo faccio io che sono un teologo, allora è una roba dei preti. Se leggete l’indice vi fate subito un’idea, sono tutti temi cartesiani. L’idea, quindi, di ritornare a coltivare una figura della coscienza non risolta razionalisticamente, come è stato in questi due secoli).

Noi leggiamo solo alcune pagine (le altre le lascio a voi) dove apparirà trasparente il senso, se tenete conto dei temi che abbiamo abbozzato e dei due canali attraverso i quali noi cerchiamo di ridare spessore a questo momento storico teorico al di fuori delle convenzioni e delle convinzioni della storia della spiritualità e della storia della filosofia, che invece tradizionalmente trattano i loro due argomenti come totalmente separati. Invece in questa fine cinquecento, prima metà del seicento, i due argomenti sono ancora strettamente uniti, è solo nel tardo seicento, cioè con la riscossa cartesiana contro lo scetticismo e il fideismo, che i due temi cominciano a separarsi.

In Cartesio e in alcuni autori significativi del dopo Cartesio, come per esempio Malebranche, ma, in un certo senso anche Spinoza, in realtà nel loro sistema (anche se il pendolo va verso una riconquista della forza della ragione) nel loro sistema la coscienza non è ancora risolta razionalisticamente. Perché secondo il mio assunto (non è solo mio, ma di altri due otre in Europa) , il vero modello razionalistico della coscienza si compie propriamente con Kant.

Se si studiano questi autori tenendo conto che il modello razionalistico della coscienza non è la cifra dell’età moderna ma soltanto di una corrente vittoriosa dell’età moderna, di quella che poi ha preso il potere politico e ha fissato gli standard del sapere universitario: noi oggi siamo in ostaggio perché noi oggi chiamiamo laicità il pensiero di una parte sociale che però, storicamente in Europa, grazie alla stoltezza delle guerre di religione e alla ottusità dogmatica degli ecclesiastici, ha preso il potere.

Se non si assume come già data l’idea che la storia della modernità è la storia della ragione, allora si possono trovare persino in Cartesio, persino in Spinoza e in altri, come la maggior parte degli studi universalmente ritenuti più belli e più interessanti di questo decennio dimostrano, che lì la contrapposizione, la separazione, non è così già fatta, come viene invece assunta nel modello razionalistico successivo, appunto a partire da Kant.

Se si tiene conto di questo sfondo, cioè di questa crisi che anche fermento di rinnovamenti, preparata dall’umanesimo ma fatta esplodere per altro verso dalla riforma del pro...

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