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Piero Coda TEO-LOGIA, la Parola di Dio nelle parole dell’uomo

Piero Coda TEO-LOGIA, la Parola di Dio nelle parole dell’uomo

Pontificia Università Lateranense Ed. Mursia, 1997

 

 

INTRODUZIONE

 

Si tratta di una introduzione alla teologia come primo capitolo della teologia fondamentale lo scopo è quello di definire la natura è il metodo della teologia stessa.

In questo senso si può parlare qui di epistemologia teologica (cioè studio e giustificazione della teologia come scienza, episteme), di gnoseologia teologica (criteri e modalità della conoscenza teologica), metodologia teologica (studio del metodo nel fare teologia).

Risulta evidente allora il carattere formale dell’oggetto di questa disciplina che prescinde dal contenuto della teologia stessa.

La prospettiva platonica vede nella verità filosofica una luce che la via filosofica disvela e che può essere raggiunta da chi è “dotato di natura divina” (Lettera settima) al quale il maestro risveglia ciò che già vi è dentro attraverso il dialogo e la comunanza di vita.

Ai discepoli di Emmaus la verità si rivela come una persona: Cristo Gesù, lui mette in luce ed interpreta le Scritture e ai discepoli s’accende il cuore nel petto.

La filosofia è “via meravigliosa” (Platone), per il cristiano Cristo è via, verità e vita (Gv 14,6), tale verità si trova solo alla presenza del risorto che ce la dona.


PRIMA PARTE: L’INTELLIGENZA DELLA FEDE (pagg. 17-79)

Istituzione del “problema” e descrizione del “concetto” di teologia

 

Capitolo primo: LA TEOLOGIA COME PROBLEMA (pagg. 21-42)

 

Il problema della teologia come intelligenza della fede

 

L’espressione intelligenza della fede indica che in teologia il momento della fede è costitutivo, non accessorio, non si fa una teologia neutra, non credente, essa sarebbe scienza delle religioni, storia, fenomenologia, psicologia, filosofia della religione, ma non teologia.

Altrettanto costitutivo è il momento dell’intelligenza, cioè della riflessione scientifica dell’oggetto.

È però prima di tutto necessario motivare la possibilità stessa di un parlare della fede e la sua necessità.

L’epoca moderna si caratterizza infatti per la separazione tra ragione e fede, quasi due comparti separati, autonomi, o addirittura in lotta.

La ragione ha a che fare con la fede? Può dire qualcosa in vista di una intelligenza della fede? Deve tacere per non rovinare la fede?

È doveroso qui evitare gli eccessi del razionalismo, che riduce i dati della fede a quelli comprensibili alla ragione, e del fideismo che nega alla ragione qualsiasi intromissione nell’ambito della fede che solo così può essere mantenuta nella sua originalità e purezza.

In realtà è la stessa fede cristiana, i cui contenuti si esprimono nella logica dell’incarnazione, Parola di Dio in realtà umana, ad esigere una intelligenza della fede.

La fede non è solo esperienza soggettivo-salvifica del sacro, del divino che si rivela nel nostro cuore, essa è anche annuncio oggettivo di verità (=dimensione dottrinale) che Dio ci ha donato e che noi possiamo comprendere con quei doni che vengono da Dio stesso, prima di tutto la ragione.

La stessa di dizione “teologia” non ha sempre lo stesso significato, essa può indicare, infatti:

1.              Il discorso su Dio così come ci è testimoniato dalla narrazione biblica.

2.              Teologia come comprensione della fede, cioè l’atto per il quale il credente chiede la conoscenza umana dell’oggetto della sua fede: fides quaerens intellectum.

3.              Teologia come verifica critica che i dati della fede siano conformi alla rivelazione e come continua ricerca e approfondimento del Depositum fidei.

4.              Teologia nella sua dimensione mistica, l’inabitazione di Dio in noi.

 

Il problema del pluralismo nella e della teologia

 

I corsi di teologia sono molti e diversi, si può parlare ancora di una teologia o di varie discipline teologiche?

Costitutiva della teologia è prima di tutto la sua dimensione storica, essa si basa su un evento storico, il rivelarsi di Dio, la sua autocomunicazione che ha il suo vertice in Cristo Gesù. Ne consegue che la teologia non può essere un qualcosa di astratto, a priori (come spesso è la filosofia), ma è sempre legata alla storia.

Accanto all’aspetto storico vi è quello sistematico che è un continuo riprendere e attualizzare l’oggetto della fede, che è sempre lo stesso, ma nel tempo dice anche sempre qualcosa di nuovo.

In questo stesso senso si spiega come la teologia sia dogmatica (ortodossia), ma anche pratica e morale (ortoprassi).

Si può parlare anche di un pluralismo dei metodi nel fare teologia.

La riflessione teologica indaga prima di tutto sull’evento storico fontale, Cristo Gesù (®metodologia storica), passa quindi ad analizzare i testi che parlano di lui (®esegesi ed ermeneutica), poi riflette sul contenuto, lo elabora, lo concettualizza (®dogmatica) lo riferisce alla pratica e alla vita (®etica), ne coglie la dimensione escatologica (®escatologia).

Sono quindi all’opera metodologie diverse in vista di un unico contenuto teologico, su un unico sfondo (quello della fede).

Proprio lo sfondo e l’ambito della fede che accompagna il lavoro del teologo costituiscono la peculiarità del fare teologia.

Pur facendo uso del metodo storico critico e della filologia nell’affrontare un testo biblico, il teologo sa di dover operare con un taglio particolare, di necessitare di una lettura ecclesiale, spirituale del testo, non solo formalmente corretta in base a criteri estrinseci.

Tutto ciò apre il problema di un corretto rapporto tra la teologia e le scienze umane.

 

Ma vi è anche un pluralismo delle teologie: teologie del genitivo, teologie del contesto, a partire dall’uomo (Rahner) a partire da Dio (von Balthasar).

Da sempre la chiesa ha vissuto questa situazione, gli stessi autori del Nuovo Testamento leggevano l’evento Cristo da punti di vista diversi, e questo fu una ricchezza.

Tra i padri la scuola di Alessandria e quella di Antiochia, la tradizione occidentale e la tradizione orientale, i domenicani e i francescani nel Medioevo etc.

Così oggi nel periodo della post-modernità, alle soglie del terzo millennio, la teologia cerca la sua unità, ma, al tempo stesso, legittima la sua pluriformità come ricchezza.

Il movimento ecumenico è una causa di questa diversità, è una novità assoluta per il nostro secolo, la teologia cattolica è influenzata dall’apporto dei teologi protestanti ed ortodossi, l’unica verità può essere accostata da diversi punti di vista tutti importanti per avvicinarsi autenticamente ad essa.

Vi è poi l’influsso delle varie filosofie contemporanee, non vi è più oggi il riferimento comune ad una filosofia perenne come ai tempi della patristica (Platone), della scolastica (Aristotele) del neotomismo (Tommaso), ciò è motivato dal fatto della necessaria fedeltà all’uomo e alla ricerca sull’uomo.

In negativo la frammentazione del sapere moderno ha reso difficile paraticare la teologia che ha perso il riferimento sicuro e unitario costituito nel passato dall’impianto tomista che aveva in sé dimensioni ontologiche che la filosofia contemporanea ha smarrito.

La fine dell’eurocentrismo l’immigrazione e la contemporanea presenza di varie culture, il problema del rapporto fede-cultura (l’inculturazione) e il rischio di perdere l’autentica identità del cristianesimo che pure dovrà inculturizzarsi in ogni cultura evitando il sincretismo e il relativismo.

La questione del rapporto con le altre religioni e il dialogo che potrà aiutare il cristianesimo a scoprire dimensioni sue proprie finora poco valorizzate. In ciò vi è però anche il pericolo di perdere l’assolutezza del cristianesimo e l’universalità ed unicità di Cristo salvatore.

 

Il problema del rapporto tra teologia e verità

 

La teologia ha la pretesa di avere a che fare con la verità di Dio, cioè la verità assoluta, trasmessaci da Cristo Gesù.

Ciò mette a tema una serie di problemi singolari nel volere definire lo statuto epistemologico della teologia, cioè il suo essere scienza, specialmente nei confronti della filosofia che ha anch’essa la pretesa di ricercare la verità.

Oggi però la filosofia ha abbandonato questa speranza ritiene impossibile il raggiungimento di una verità oggettiva ed universale, da forte (la metafisica) la filosofia ora è debole da quando la svolta antropologica ha esaltato il soggettivismo al punto da perdere il polo dell’oggettività (finendo così nel relativismo e dunque nella debolezza), su questa linea è ormai anche la scienza, terminate le illusioni positivistiche.

La pretesa della teologia in questo contesto relativistico si configura come una sfida, ma anche chiede di essere motivata.

Il riferimento alla rivelazione è quel qualcosa di più da cui partire per giustificare tale pretesa, nella rivelazione il Dio-Trinità-Verità si rivela, Cristo ci manifesta tale verità (“concentrazione cristologica del concetto cristiano di verità” pag. 42).

 

Capitolo secondo: LA VICENDA SEMANTICA DEL TERMINE TEOLOGIA (pagg. 43-52)

 

Il pensiero greco

 

In Platone ed Aristotele il termine teologia si trova inteso quale discorso mitologico sugli dei. Il termine si trova per la prima vola in Platone (l’ha lui inventato?) in Republica II 379A.

Teologi sono così i poeti, Omero, Orfeo, Esiodo, che spiegano le cose ancora facendo ricorso alla mitologia (perciò non sono filosofi).

Aristotele però dà anche un significato positivo a teologia che per lui è la scienza dei principi primi (oggi la chiameremmo teologia filosofica), manca ancora totalmente il riferimento alla rivelazione.

Per gli stoici teologia è il “parlare agli dei nel culto” (pag. 45) qui siamo già nell’ambito di un significato religioso.

Nel Nuovo Testamento teologia è assente, si preferisce il termine classico gnosis per designare la conoscenza religiosa.

Per trovare il significato cristiano dato al termine bisogna spettare Origene e soprattutto Eusebio di Cesarea (263-340) con il suo De ecclesiastica theologia.

In Oriente al termine teologia (=dottrina del Dio-Trinità in sé) si affianca quello di oikonomia (=legge della casa Þ andamento della storia).

In Occidente l’uso del termine diviene comune solo nel Medioevo, nel XII-XIII secolo (prima si usavano termini tipo Sacra Scrittura, Sacra dottrina, dottrina cristiana, sacra pagina etc.) dopo la ripresa di Aristotele e la fondazione delle università al cui vertice vi era la facultas theologiae.

La teologia ha la pretesa di parlare umanamente di Dio perché e solo perché Dio per primo a parlato così attraverso i gesti, le opere, la vita di Gesù di Nazaret.

In un certo senso la teologia nasce dal mistero dell’incarnazione.

Ciò esprime la superiorità della teologia cristiana su quella ebraica che pur si rifà alla rivelazione dell’Antico Testamento, anzi, in realtà è problematico poter fare una teologia solo a partire dall’Antico Testamento.

La teologia cristiana si sforza di comprendere la rivelazione attraverso la ragione, ciò la differenzia da una teologia islamica che relativizza l’uso della ragione (con l’eccezione delle correnti mistiche) e si limita a ripetere il dato assoluto della rivelazione.

In questo senso, poi, non vi è teologia nelle religioni orientati come buddismo e induismo perché in esse la ragione è condannata a tacere di fronte al mistero del divino: l’Assoluto è infinitamente Altro e non può essere detto da alcuna parola umana.

L’epoca moderna distinguerà poi tra una teologia filosofica e una teologia sacra, così già Francesco Bacone (1561-1626).

L’illuminismo e il positivismo recepiranno solo la teologia naturale, rifiutando l’altra in quanto basata sulla fede.

L’idealismo recupera la teologia sacra ma la fa fagocitare dalla filosofia, Hegel realizza la conciliazione tra filosofia e teologia, dunque tra razione e fede, ma a prezzo della morte della teologia!

Così le due si separeranno di nuovo dopo l’idealismo, Feuerbach nega addirittura la teologia riducendola ad antropologia.

Un nuovo capitolo, da approfondire, sarà quello del XX secolo.

 

Capitolo terzo: PRIMA DESCRIZIONE DEL CONCETTO DI TEOLOGIA (pagg. 53-79)

 

La teologia come intelligenza della fede: da S. Agostino a S. Anselmo

 

Agostino (354-430) ha coniato alcune formule celebri: intelligenza della fede, credo ut intelligam, intelligo ut credam.

Credo ut intelligam esprime il fatto che a monte della comprensione teologica ci deve essere la professione di fede, punto di partenza è sempre la fede, a sua volta l’uso dell’intelligenza rende possibile una fede profonda e consapevole (perciò intelligo ut credam).

Dunque l’intelligenza ricerca sempre e di continua un contenuto che comunque è dato nella fede.

A S. Anselmo si fa risalire l’espressione per cui la teologia è una fides quaerens intellectum, una volta fatto l’atto di fede, si deve capire ciò in cui crediamo, dunque la teologia presuppone la fede, la quale nasce prima di tutto da Dio che si rivela, e poi dall’uomo che, liberamente, dice il proprio sì.

 

La genesi della fede: rivelazione, ragione/libertà, fede

 

Come per il filosofo la filosofia nasce dalla meraviglia, così per il credente la fede ha origine nell’incontro personale con Cristo Gesù salvatore che cambia la vita e trasforma una persona: “Se uno è in Cristo è una creatura nuova” (2Cor 5,17).

Il sì della fede avviene per il dono dello Spirito ed è un sì a Cristo morto e risorto, è un accettare liberamente la comunicazione che di Dio avviene in Cristo e vivere un rapporto nuovo con gli altro e la creazione tutta.

Questo incontro avviene dunque nella storia che è il luogo dell’incontro (nelle logica dell’incarnazione) e coinvolge il centro della persona, per cui poi tutta la sua realtà ne viene coinvolta (ragione, sentimento, affetto, coscienza etc.).

La presenza di Cristo nella storia e nella chiesa, grazie allo Spirito, garantisce una eterna contemporaneità della possibilità dell’incontro.

L’atto di fede è un atto pienamente umano, dunque coinvolge la volontà e l’intelletto, suppone la libertà ed ha per oggetto un sapere.

L’atto di fede è così frutto della grazia, del dono dello Spirito (“nessuno può dire Gesù e il Signore se non sotto l’azione dello Spirito Santo” 1Cor 12,3), ma è anche esercizio di ragione, soggetto della fede è infatti l’uomo nella sua interezza, quindi nel pieno possesso delle sue capacità razionali. La ragione dice poi all’uomo la credibilità dell’atto che pone.

Per lo stesso motivo l’atto di fede deve essere costitutivamente un atto libero, perciò la fede è adesione libera alla verità della rivelazione.

L’adesione alla fede dell’uomo ragione/libertà si giustifica con il fatto che ragione/libertà sono costitutivamente orientate all’atto di fede, sono potentia oboedentialis cosicché la fede suppone la ragione e non è contraria ad essa, anzi, la perfeziona (fides supponit et perficit rationem).

Rivalutata così la ragione nel campo della fede, si vede bene come essa sia fondamentale nel campo della teologia che è intelligenza della fede, dunque la ragione non opera solo preparando la fede (i preambula fidei), ma anche successivamente, nell’approfondimento della fede, cioè nella teologia.

 

La struttura della fede: fides qua e fides quae

 

La fede è allo stesso tempo un atto esistenziale che coinvolge tutto l’uomo ed esprime il suo credere: fides qua, la fede con la quale si crede.

Al tempo stesso l’atto di fede è un atto intellettuale che comprende dei contenuti, la stessa fede è anche il contenuto del credere che si esprime nell’assenso ad una dottrina: fides quae.

Definizione di fede nel  Vaticano I DS 3008 e nel Vaticano II (DV 5).

Fides qua e quae non sono però due momenti separabili, ma entrambi convergono nell’unico atto di fede.

 

La fede come soggetto e come oggetto della teologia

 

La frase intellectus fidei riferita alla teologia può essere interpretata sia prendendo il genitivo fidei come genitivo soggettivo, cioè l’intelletto delle fede, dove la fede è il principio (fides qua), sia in senso oggettivo, dove la fede è il contenuto dell’atto intellettivo (fides quae).

Perciò la fides qua è anche il principio soggettivo della teologia e la fides quae è il suo principio oggettivo.

 

La teologia come intelligenza che procede dall’atto di fede (fides qua)

 

Sta qui il dato che la teologia presuppone la fede, la quale presuppone l’annuncio (fides ex auditu, Rm 10,17), la testimonianza, l’ascolto, il credere, la confessione.

Non esiste perciò una teologia neutra, essa è sempre una teologia confessante, necessita dell’ascolto delle fonti: Spirito Santo, tradizione, magistero, vita della chiesa etc..

Così la teologia ha anche un carattere intrinsecamente e costitutivamente ecclesiale, l’io personale della fede è in realtà sempre inserito in un noi della chiesa (io credo/noi crediamo).

Come atto intellettuale, inoltre, la teologia fa proprie tutte le prerogative della scientificità, quindi essa è critica, metodica (segue un metodo specifico che dipende dal suo oggetto), sistematica (cioè completa, per quanto possibile, dato il suo oggetto).

 

La teologia come intelligenza dell’oggetto di fede (fides quae)

 

Cristo Gesù è la verità, essa però si oggettivizza in alcuni contenuti che costituiscono il Depositum fidei, la regula fidei.

Mentre la fede è la risposta al rivelarsi di Dio, la teologia indaga il Dio che si rivela, parte cioè dalla Parola di Dio e non può essere altrimenti.

Tale Parola di Dio si dà all’uomo nelle forme storiche recepite, secondo la logica dell’incarnazione e tuttavia resta vero che l’oggetto della teologia trascende sempre il teologo, tale consapevolezza preserva il teologo dal rischio di ridurre il dato della fede alle categorie antropologiche.

Se l’oggetto della teologia è Dio, va detto con Agostino che la fede (che è presupposta dalla teologia) è un credere Deo (Þ a Dio che si rivela), un credere Deum (ÞDio è oggetto della fede, non una dottrina, ma un essere personale) e un credere in Deum (Þ un andare verso Lui, ci sottomettiamo a lui).

Questa dimensione personale della fede motiva ancora una volta l’impossibilità di una teologia astratta, impersonale, ma questo significa che la teologia non potrà mai limitarsi ad una dimensione oggettivo-concettuale, ma sarà sempre aperta, coinvolgente, mistica etc.

L’unico oggetto si dispiega poi nella varietà dei misteri oggetto della ricerca teologica.

Questa unità/varietà va sempre considerata.

Vi è, cioè, una pluralità di approcci e contenuti che sono sempre uniti sullo sfondo con colui che è sempre al centro del discorso (analogia della fede), da qui il concetto di gerarchia delle verità (UR 11) del Vaticano II.

 

La circolarità di fede, speranza, carità nella teologia

 

Poiché non c’è fede senza conoscenza, fede e teologia vanno insieme.

Per definizione, inoltre, la fede contiene in sé il concetto di speranza, e noi dobbiamo rendere ragione della speranza che è in noi (1Pt 3,15), da qui il carattere anche apologetico della teologia.

Dice Giovanni che solo chi ama ha conosciuto Dio (1Gv 4, 7b-8) dunque la carità è indispensabile per una piena conoscenza di Lui.

Chi ama poi attesta di essere figlio di Dio, non basata la fede, ci vuole una fede che poi diventi vita nell'amore, nella carità.

Così sappiamo che Dio-amore si rivela in Cristo.

La teologia esprime poi concettualmente il dato della carità parlando di “opzione preferenziale per i poveri”, così essa esce definitivamente dal pericolo (a volte presente in passato) di astrattezza e inutile fumosità.

Così la teologia èdocta fides, docta spes, docta caritas.


SECONDA PARTE: LA TEOLOGIA NELLA STORIA (pagg. 81-169)

Rassegna e valutazione dei modelli epocali

 

Capitolo primo: SACRA SCRITTURA E TEOLOGIA (pagg. 83-87)

 

La stessa Sacra Scrittura interpreta l’evento, è teologia a livello superiore, a livello normativo ed è sempre il punto di partenza imprescindibile.

 

Antico e Nuovo Testamento

 

L’Antico Testamento è di fatto un continuo interpretare le azioni di Dio, le mirabilia Dei, prima fra tutte la liberazione dell’esodo.

Allo stesso modo il Nuovo Testamento riflette teologicamente a partire dall’evento pasquale di Cristo Gesù, gli inni paolini, il prologo di Giovanni sono precisamente interpretazioni teologiche dell’evento centrale della fede cristiana.

 

Il modello fontale: narrazione, sapienza, rivelazione, profezia

 

Dunque nel Nuovo Testamento troviamo prima di tutto la narrazione dell’evento, la Pasqua e l’annuncio del Regno, soprattutto Paolo e Giovanni ne fanno poi una interpretazione sapienziale.

Il contenuto ci viene donato perché il Padre ha rivelato queste cose ai piccoli (Mt 11, 25-27), in tal modo noi partecipiamo del rapporto conoscitivo che lega il Padre e il Figlio (Gv 14,27; 15,26) e ciò avviene grazie all’azione dello Spirito Santo.

Il Nuovo Testamento contiene anche il modello profetico apocalittico che interpreta la storia e ne rivela il senso ultimo e autentico (Apocalisse).

 

La teologia di Gesù

 

Così teologia è partecipazione della conoscenza che il Figlio ha del Padre-Abbà che ci viene donata intellettualmente ed esistenzialmente grazie allo Spirito.

Allora la teologia è teologia di Gesù e la teologia su Gesù è in funzione di essa cioè tenta di introdurci al rapporto Gesù-Padre.

 

Capitolo secondo: IL MODELLO GNOSTICO-SAPIENZIALE DEI PADRI (pagg. 89-111)

 

La teologia del giudeo-cristianesimo

 

È il primo modello teologico nel quale l’inculturazione della fede cristiana avviene nell'ambito del giudaismo di Gerusalemme. Si veda la figura di Giacomo fratello del Signore. È sostanzialmente anche la teologia dei padri apostolici, si basa molto sull’Antico Testamento con un’esegesi rabbinica simile al midrash.

 

Caratteristiche generali della teologia dei Padri

 

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